Donne, Lembo: «Ancora discriminazioni sociali ed economiche»

Giuditta Lembo, consigliera di Parità della Regione Molise
Giuditta Lembo, consigliera di Parità della Regione Molise

«I dati sull'occupazione sono sempre più preoccupanti e gli uomini cominciano a ricoprire posti di lavoro, come quelli del terziario, che fino ad ora erano destinati alle donne».
Lo afferma la consigliera di Parità della Regione Molise, Giuditta Lembo, la quale si chiede se  si tratti di un fenomeno occasionale oppure si profila una tendenza di parziale sostituzione tra occupazione maschile e femminile, data la prolungata e sostenuta fuoriuscita degli uomini dai settori manifatturieri.  Altro fenomeno in crescita, fa notare la Lembo, è quello delle donne quali uniche portatrici di reddito all'interno dei nuclei familiari: quando gli uomini perdono il posto di lavoro, le loro compagne si "adattano" ad attività lavorative (pulizie, badanti, ecc.) che prima erano appannaggio delle straniere.

«Le donne poi - sostiene la consigliera - continuano ad essere sottoutilizzate e sottopagate rispetto ai loro colleghi uomini, malgrado l'altro tasso d'istruzione e la comprovata professionalità. Altro fenomeno preoccupante è anche la  discriminazione femminile sul luogo di lavoro che è in aumento e che non solo non e' recessivo, ma mostra segnali di aumento. Molte donne lavoratrici continuano a subire forme di mobbing e di molestie. Ancora oggi, si riscontrano molti atti di demansionamento e dequalificazione professionale, oltre che vere e proprie molestie non necessariamente di natura sessuale. Non dimentichiamo, poi, che persistono ancora episodi di tratta che riguardano soprattutto le donne extracomunitarie».

«Preoccupante - continua la  Lembo - è il fenomeno delle donne che, entro il primo anno di vita del figlio, abbandonano il posto di lavoro. La motivazione preponderante anche in Molise  è legata alle difficoltà oggettive di gestione del figlio per carenze di servizi o di reti di sostegno. Le donne di oggi entrano nel mondo del lavoro all'età in cui le loro madri cominciavano ad uscirne, le aspettative rispetto al lavoro sono cambiate notevolmente e le risposte non ci sono. Sembra quasi che "il dono della maternità" si trasformi nella condanna delle donne che, in Italia, non trovano supporto. Nel 2000, quando venne approvata la Legge n. 53 per il sostegno della maternità e della paternità, si aprirono nuovi scenari per i genitori italiani con il riconoscimento del valore sociale della maternità.
 
Da allora ancora sono troppo pochi i padri che usufruiscono dei congedi esercitando il loro diritto/dovere di essere padri e, soprattutto, le tutele italiane (140 giorni retribuiti all'80% più 170 giorni con retribuzione al 30%) sono rimaste al palo rispetto a Stati in cui il congedo è di 365 giorni retribuiti al 100% (Croazia, Danimarca e Serbia). In Svezia il congedo è di 420 giorni retribuiti all'80% e l'estensione del diritto ai padri è avvenuta nel 1974. Allora gli uomini che usufruivano del congedo, in Svezia, erano pochi ma oggi sono circa l'80%, perché è subentrata la certezza e la convinzione che lo stare a casa con i figli fa parte della vita. Di conseguenza  l'individuo, le aziende e la società ci guadagnano se la donna e l'uomo usufruiscono del congedo parentale. Questo fatto riporta la questione del congedo parentale in un contesto più ampio. Molto probabilmente, il modo più efficace per far sì che i genitori dividano a metà il congedo parentale è favorire il ruolo della donna nel mondo del lavoro. Leggendo l'esperienza  della Svezia è evidente un concetto: che è sbagliato insistere sul termine "conciliazione" perché esso stesso si riferisce ad una difficoltà che viene letta tutta in chiave esclusivamente femminile. L'errore sta nel fatto che, in venti anni, l'asimmetria del tempo dedicato alla famiglia nelle coppie occupate con figli è scesa dall'80,6% del 1988/89 al 72% del 2008/2009 (-12 punti percentuali) ma ciò è avvenuto a discapito della qualità di tale lavoro perché le madri hanno ridotto di 37 il lavoro familiare mentre i padri lo hanno incrementato solo di 26. Non dobbiamo, quindi, parlare di conciliazione bensì di condivisione quale strategia vincente per la crescita armonica della società. Se conciliare vuol dire trovare un equilibrio tra più parti o più vincoli, condividere vuol dire possedere e realizzare insieme e, quindi rivoluzionare, il concetto di corresponsabilità nella costruzione di un nucleo familiare. L'equilibrio tra donne, lavoro e famiglia, ossia nella società, si può ottenere soltanto con la condivisione».
 
«Quindi- conclude Giuditta Lembo  -  pari opportunità vuol dire credere nel valore dell'altro, costruire la speranza per un futuro più equo e di cui nel nostro Paese, luogo per eccellenza delle sperequazioni, ha tanto bisogno. Pari opportunità vuol dire educare le future generazioni al rispetto e alla consapevolezza che i limiti posso diventare risorse e che un fare diverso e positivo può portare grandi risultati. Nessuna vera crescita senza uguaglianza. Una crescita diseguale è infatti una crescita senza solide basi, diseguaglianza e sviluppo economico sono inversamente proporzionali. Dunque, il primo passo da fare è contrastare ogni forma di discriminazione, soprattutto quella di natura sociale ed economica che generano un  malessere diffuso e che se non curate con tempestività  rischiano di diventare una patologia irreversibile».

 

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